lunedì 17 luglio 2023

I Brics, il signoraggio e la guerra in Ucraina - Intervento del Prof. Guglielmo Forges Davanzati

La guerra in Ucraina è anche una guerra a difesa della supremazia del dollaro come valuta di riserva internazionale. Si tratta di quello che è stato definito un “esorbitante privilegio”, ovvero quello di emettere moneta (prerogativa in capo alla FED) senza nessuna probabilità di fallimento. Gli USA sono gli unici Paesi al mondo che, in virtù del signoraggio, non possono tecnicamente dichiarare default. Il signoraggio consiste appunto nella possibilità tecnica di espandere la base monetaria nella certezza che la moneta creata, indipendentemente dagli eventuali esiti inflazionistici e dalle fluttuazioni del tasso di cambio, verrà sempre accettata come mezzo di scambio[1].

Si può ben comprendere come questo privilegio debba essere difeso, anche con l’uso della forza armata e come esso costituisca un “non detto”, sostituibile, sul piano comunicativo, con il messaggio – certamente più appetibile per l’opinione pubblica - per il quale la guerra trae la sua fondamentale motivazione dalla difesa dei “valori occidentali”. Il FMI ha reso noto che le riserve in dollari delle banche centrali nel quarto quadrimestre 2020 sono diminuite dal 71 al 59%, una tendenza al ribasso che ha continuato a peggiorare: le disponibilità di crediti in dollari delle banche centrali sono diminuite da 7 trilioni di dollari nel 2021 a 6,4 trilioni alla fine di marzo 2022. Per contro, a partire dal 1999, mentre le riserve in dollari Usa delle banche centrali sono diminuite del 12%, quelle in altre valute, in particolare lo yuan cinese, sono aumentate del 9%. Sia chiaro: il dollaro rimane tuttora un pilastro importante del commercio mondiale, ma l'erosione del suo potere, per quanto lento, è continua, tale da destare allarme in Occidente.

L’avanzata della valuta cinese, il remimbi o yan, come valuta di scambio nel commercio internazionale, sebbene ancora ampiamente minoritaria in questo, desta comprensibilmente paura nell’establishment americano.  Il problema è accentuato dal fatto che, a seguito delle sanzioni imposte alla Russia (in primis, il divieto di uso della piattaforma SWIF per i pagamenti interbancari), si è rianimata l’intenzione – da parte della Cina e dei Paesi meno allineati con Washington – di rendere indipendenti i loro sistemi finanziari, sostituendo il dollaro con una nuova valuta. In più, nel giugno del 2022, il presidente russo Vladimir Putin ha dichiarato che i Paesi Brics stavano lavorando a una nuova valuta di riserva, mentre a gennaio del 2023 il ministro degli Affari esteri Sergei Lavrov ha affermato che se ne discuterà nel quindicesimo in programma in Sud Africa a fine agosto.

E’ degli ultimi anni, con significativa accelerazione nel 2022, l’impulso dato dai BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa) a questo progetto. Si tratta di creare una nuova moneta, agganciata a quelle già circolanti in quei Paesi, da usare nello scambio di beni e servizi e di transazioni finanziarie su scala globale. Dal punto di vista tecnico, vanno osservate alcune criticità:

1)    Sebbene la quota del commercio internazionale sul Pil dei BRICS sia in aumento – si tratta, in effetti, dell’unica grande area del pianeta ad aver beneficiato dell’ultima ondata di globalizzazione – va registrato il dato per il quale, dentro questa alleanza, vi è un significativo differenziale di ricchezza e di tasso di crescita fra i Paesi membri, con la Cina che risulta il Paese in larga misura leader. Questo influisce sulla determinazione del valore della valuta, dal momento che il reminbi dovrebbe risultarne l’elemento più rappresentativo. In un bel noto articolo del 9 febbraio 2023 sul Financial Times, l’economista Paul McNamara valuta il progetto come “matrimonio imperfetto”, ovvero il matrimonio fra una superpotenza, una potenza potenziale (India) e tre economie stagnanti, esportatrici di sole materie prime. I rapporti di forza sono, dunque, estremamente sbilanciati. Secondo le ultime stime del Fondo monetario internazionale, la Cina detiene il 72% del Pil dei cinque Paesi Brics. Dal 2003 la percentuale dei Brics sull’output globale è passata dall'8,4% al 25,5%. Di questo aumento di 17,1 punti percentuali, 14 sono responsabilità della Cina.

2)     Intorno ai BRICS si è formata una convenzione di potenziali altri 29 Paesi, a partire dall’Arabia Saudita. E’ noto, nella Storia delle aree valutarie (a partire da quella più grande e più recente: l’UME), che i processi di aggregazione avvengono, di norma, mediante la sussunzione di più valute in quella che, per grandezza del Pil, ne è egemone. E’ accaduto così in Europa con il marco. La sfida all’egemonia monetaria USA consiste, dunque, nella capacità del Paese leader di far accettare agli altri, in un regime di accordo volontario, la sua supremazia, tenendo conto di una variabile essenziale. La valuta di riserva internazionale è tale se, di norma (per i precedenti storici: sterlina e dollaro), sussistono due condizioni. La prima è che vi sia una convenzione sociale internazionale che decreti di riserva quella moneta e ciò richiede tempo, proprio a ragione della trasformazione delle convenzioni. La pre-esistenza di un sistema coloniale ha storicamente agevolato il ruolo della sterlina e poi del dollaro. La seconda è l’esistenza di un meccanismo di enforcement, che attiene all’uso della forza per convalidare l’egemonia politica e, dunque, monetaria.

 

E’ ben difficile, dunque, pensare che il superamento del signoraggio del dollaro avvenga per considerazioni esclusivamente tecniche o anche solo per considerazioni che attengono al potere economico dei Paesi c.d. emergenti: appare più realistico pensare che è solo una guerra (a partire da quella in corso in Ucraina) a poter spostare l’ago della bilancia. Come del resto è sempre accaduto sul piano dei rapporti di forza nella gestione della moneta del mondo.

 

 


[1] Sull’incapacità dell’euro di essere valuta internazionale si rinvia a U.Marani: https://www.economiaepolitica.it/banche-e-finanza/euro-una-valuta-solo-regionale/

 

 

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